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martedì 22 novembre 2016

Una Definizione

La notte mi tocca, mi tramuta in Braille.
L'infinito è cieco, penso mentre chiudo gli occhi.
L'infinito è un colino, penso mentre guardo le stelle.
L'infinito è sordo come un'eco ma ascolta con più orecchie cucite nel suo smoking di quante l'infinito possa contarne con le sue infinite bocche.
Il finito è l'odore di una cosa morta dietro di me in una casa,
un topo in un condotto,
mia madre nel suo letto, 
non saprei dire.
Fa freddo, infilo un cappello su un cappello, un cappotto su un maglione su una maglietta sulla pelle sul sangue, 
premo la notte e voglio che sia una sigaretta da fumare fino alle dita e continuare fino a far sparire le mie impronte.
Ero a Manhattan e attraversavo la strada quando uno strattone al cappotto mi ha salvato da un camion betoniera sul punto di ridurmi a un impasto, 
mi sono girato e non c'era nulla dietro me tranne lo scorrere senza fine in cui ero un fortunato snodo.
L'infinito è decidere che sono tutti ad avermi salvato, tutti quelli a cui devo questa notte, questo respiro libero da ciò che sta crollando dietro me, 
da ciò che sta tornando a quello che persino l'infinito chiamerebbe l'inizio.
BOB HICOK
Bob Hicok è un poeta americano nato nel 1960, questa poesia è stata pubblicata nel 2012 su Agni, una rivista letteraria edita dalla Università di Boston. Traduzione di Francesca Spinelli

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